Condizione di eccessivo accumulo di grasso corporeo. Tranne che per gli individui molto muscolosi, si considera obeso un soggetto con un peso superiore del 20% rispetto a quello ideale, desunto da apposite tabelle o calcolato con varie formule. Una valutazione rapida e attendibile viene fornita dall'indice di massa corporea (BMI, dall'inglese Body Mass Index), che si calcola dividendo il peso espresso in chilogrammi per il quadrato dell'altezza espressa in metri. Valori tra 20 e 25 indicano un peso normale, tra 25 e 29 un sovrappeso, oltre 30 un'obesità e superiori a 40 un'obesità grave. L'obesità rappresenta un importante fattore di rischio cardiovascolare favorisce inoltre il diabete, l'ipertensione arteriosa e l'ischemia cardiaca. Particolarmente rischiosa è quella caratterizzata da accumulo del grasso soprattutto nella zona addominale. L'obesità è generalmente causata da una discrepanza nel bilancio tra quantità di calorie introdotte e utilizzate, che risulta a vantaggio della prima. Non si conoscono tuttavia le cause esatte di questo meccanismo: possono essere coinvolti fattori genetici, endocrinologici, psichici, neurocerebrali. Il trattamento dell'obesità differisce sostanzialmente in rapporto alla sua gravità. Nel sovrappeso e nell'obesità lieve (il 90% dei casi) è sufficiente intervenire sulle abitudini alimentari e lo stile di vita del soggetto. La perdita di peso deve comunque essere graduale, in quanto cali repentini espongono al rischio di un rapido ritorno al peso iniziale (la cosiddetta sindrome ""della fisarmonica""). La dieta deve essere compilata da uno specialista, con il quale è bene concordare anche l'opportunità di utilizzare prodotti a base di fibre o integratori di proteine e vitamine. Farmaci che bloccano l'assorbimento dei grassi a livello intestinale presentano diversi effetti collaterali, come anche gli anoressizzanti, e vanno quindi riservati ai casi di obesità grave. Talvolta si può ricorrere a interventi chirurgici ma i risultati a distanza sono tuttora incerti.
Organo della vista. Ha la forma di una sfera e presenta una struttura anatomica piuttosto complessa. La parte anteriore è costituita dalla cornea, al centro della quale si trovano iride e pupilla. L'iride è una struttura ricca di pigmento colorato, responsabile delle varie sfumature che caratterizzano l'occhio, mentre la pupilla è un'apertura il cui diametro varia in relazione all'intensità degli stimoli luminosi, restringendosi quando sono più intensi. La parte posteriore è formata dalla sclera, che si continua nel nervo ottico. Cornea e sclera costituiscono la tonaca fibrosa, il primo dei tre strati che avvolgono la parete dell'occhio. Lo strato successivo prende il nome di tonaca vascolare e comprende coroide, corpo ciliare e iride a ridosso di quest'ultima si trova il cristallino, una sorta di lente gelatinosa collegata al muscolo ciliare. Contraendosi o rilassandosi, tale muscolo determina il fenomeno dell'accomodazione. La tonaca nervosa infine presenta una zona cieca e una zona ottica, nella quale si trovano la retina e i recettori visivi (coni e bastoncelli). Cornea, iride e cristallino, a loro volta, costituiscono la camera anteriore dell'occhio, che contiene un liquido trasparente detto umore acqueo, mentre cristallino e retina sono separati dal corpo vitreo, una sostanza gelatinosa che contribuisce al mantenimento della forma del bulbo oculare. Il movimento dell'occhio è reso possibile da una serie di muscoli detti oculari, che rispondono agli stimoli inviati dai nervi cranici. Alla funzione della visione collaborano invece il nervo ottico, che si occupa della trasmissione del segnale proveniente dall'esterno, e i centri visivi del cervello, che provvedono a interpretare tali segnali.
Parte posteriore del cranio, al di sopra del collo.
1) Blocco del passaggio di liquidi, solidi o gas lungo il loro normale percorso all'interno di strutture del corpo. è causata da un ostacolo di varia natura e colpisce in prevalenza il tubo digerente, vene e arterie, trachea e bronchi.
Blocco dei condotti attraverso cui scorre la bile, causato da calcoli, infiammazioni o tumori. Il ristagno della bile fa sì che si accumulino grandi quantità di bilirubina nel fegato e nel sangue, dando luogo a ittero e urine scure. Ulteriori sintomi sono dolori addominali, dimagrimento e ingrossamento del fegato. Ecografia e TAC sono gli esami più indicati per la diagnosi la terapia varia in relazione alla causa ed è spesso chirurgica.
Condizione patologica in cui il contenuto dell'intestino non riesce ad avanzare. Le cause possono essere fisiche (per esempio corpi estranei, polipi) oppure secondarie alla paralisi dei muscoli dell'intestino dovuta a infiammazioni, traumi o specifiche patologie. L'occlusione si manifesta con crampi all'addome, vomito e rigonfiamento addominale. La diagnosi si avvale della radiografia con o senza mezzo di contrasto e del clisma opaco, mentre la terapia richiede quasi sempre l'intervento chirurgico.
Interruzione dell'afflusso di sangue alla retina conseguente all'ostruzione di una vena. Fattori di rischio per l'insorgenza del disturbo sono l'ipertensione, il diabete, l'età avanzata e il fumo. Il paziente avverte un calo della vista e una riduzione del campo visivo più o meno grave in relazione alla zona di retina interessata dall'occlusione, che può anche essere colpita da emorragia. La terapia prevede vari approcci sia farmacologici (anticoagulanti e antiaggreganti) sia chirurgici (coagulazione mediante laser).
Termine che indica una condizione non evidente e individuabile solo mediante appositi strumenti o metodi d'indagine.
Specialista che valuta la funzione visiva e si occupa della diagnosi e della terapia delle patologie dell'occhio.
Ramo della medicina rivolto allo studio delle strutture anatomiche dell'occhio, del loro funzionamento e delle patologie a loro carico.
Patologia infiammatoria che interessa lo sfintere di Oddi, nel duodeno. L'oddite è caratterizzata da edema e spasmi, che ostruiscono il normale flusso della bile, e si manifesta con ittero e forti dolori nella zona dell'addome. Il primo approccio terapeutico è di tipo farmacologico, ma in caso di insuccesso occorre intervenire chirurgicamente.
Medico specializzato che si occupa delle patologie che colpiscono i denti e il cavo orale.
Branca della medicina rivolta allo studio anatomico e patologico dei denti e della bocca.
Neoplasia localizzata all'interno del cavo orale che origina dall'anomalo sviluppo del tessuto dentario. Talvolta sono presenti anche altri tessuti o embrioni di denti e in questo caso si parla di odontoma composto. Si sviluppa durante l'infanzia e si manifesta in genere con gonfiore della guancia, nevralgie e lesioni e deve essere asportato chirurgicamente.
Disturbo infiammatorio che interessa l'occhio e le sue strutture, in genere la congiuntiva. Le varie tipologie di oftalmia si differenziano in base all'aspetto o alle cause scatenanti: tra le altre, si distinguono l'oftalmia nodosa, con noduli di colore grigio disposti alla base delle ciglia, e l'oftalmia delle nevi o degli alpinisti, causata dal riverbero della luce su neve e ghiacciai. In entrambi i casi la terapia si basa su colliri antibiotici e antinfiammatori.
Blocco dell'attività dei muscoli responsabili del movimento degli occhi. Le cause scatenanti sono numerose e sono collegate a infiammazioni delle meningi, patologie a carico della tiroide o dei muscoli stessi, disturbi dei centri nervosi. L'oftalmoplegia può far parte del quadro clinico del diabete, dell'ictus e della sclerosi multipla.
Procedura diagnostica che consente, grazie all'uso di un particolare strumento detto oftalmoscopio, di osservare le strutture interne dell'occhio (in particolare il fondo) al fine di individuare eventuali alterazioni. Oltre che in campo oculistico, è molto utile in neurologia, in diabetologia e in medicina cardiovascolare.
Strumento con il quale l'oculista riesce a osservare il fondo dell'occhio, in particolare la retina. E' costituito da uno specchio perforato, da una lente e da una fonte luminosa.
Sigla che indica gli organismi geneticamente modificati, che hanno cioè subito modifiche indotte in laboratorio nel loro patrimonio genetico. Tali modifiche possono interessare qualsiasi specie, dagli animali alle piante ai virus, e prevedono in genere l'introduzione nel Dna da modificare di geni prelevati da altri organismi. In questo modo, l'organismo ""ricevente"" potrà approfittare delle nuove caratteristiche date dal Dna introdotto, caratteristiche che verranno trasmesse a tutti i discendenti.
Trasmissione ereditaria di un carattere per via maschile. Il particolare gene responsabile del carattere infatti è presente solo sul cromosoma Y, che caratterizza gli individui di sesso maschile.